L’“angoscia dell’anonimato”, con questa definizione è possibile capire ciò che più terrorizza la società contemporanea: l’anonimato! Oggigiorno risulta difficile essere “anonimi”… ma esattamente, cosa significa la parola “anonimo”? Anonimo può esserlo chiunque, dall’autore di un romanzo a una persona comune; anonimo è sinonimo di sconosciuto, ignoto, un qualcosa o qualcuno che non si conosce, di cui non si è mai sentito parlare. Come ha affermato il filosofo Umberto Galimberti, «gli individui hanno bisogno di visibilità, qualcosa che li possa far urlare : “Io esisto e sono qui, guardatemi!”». Questa visibilità, tanto ricercata sta diventando per molti soggetti una malattia. Grazie all’avvento dei social la ricerca di quest’ultima si è amplificata ed è divenuta pericolosa. Le persone si mettono in mostra, a volte anche in ridicolo, e parlano di ciò che per loro è più intimo, si mettono a nudo davanti a dei completi sconosciuti per attirare un po’ di attenzione. Sembra quasi una vetrina espositiva. Nessuno ha paura di esporsi poiché si pensa sia il prezzo da pagare per essere notati, conosciuti. Piattaforme come Instagram e Tik Tok soprattutto, sono divenute lo strumento ideale per cercare visibilità, grazie all’utilizzo di questi social gli utenti possono condividere con amici, familiari ma anche completi sconosciuti la loro vita, i loro interessi, dai contenuti più superficiali e banali a quelli più intimi e privati. Ci si vuole far conoscere per non restare isolati, esclusi, sconosciuti; si arranca per cercare di stare al passo con tutto e a volte, purtroppo, ci si dimentica di vivere, si viene soffocati. Questo stile di vita frenetico, dato dall’avvento dei social, è diventato uno standard da rispettare, tutto deve essere fatto velocemente e in modo immediato per non rimanere indietro. L’anonimato dunque è una condizione tragica dell’essere umano, come riportato nel testo, quest’ultimo sembra una condizione indispensabile cosicché un soggetto possa mettersi a nudo, ma allo stesso tempo denuncia l’isolamento dell’individuo. Io, facendo parte di questa società, mi riconosco nelle parole del filosofo Galimberti, avevo e ho il terrore di non essere nessuno, una sconosciuta in questo grande mondo, isolata da tutto e tutti. Adesso ho 20 anni e la morbosa ricerca di attenzioni per non restare una sconosciuta ovviamente si è affievolita , ma mai del tutto sopita. Quando avevo 14/15 anni, nel periodo della piena adolescenza, mi sentivo “il signor nessuno”, i miei genitori, per paura dell’effetto degli ancora “arcaici” social del 2018/2019, non mi consentivano di avere un mio spazio nel mondo digitale e questo mi faceva arrabbiare tantissimo; allo stesso tempo però si alimentava in me quel senso di solitudine e isolamento. I miei compagni di classe avevano già dei profili su qualsiasi piattaforma esistente al tempo, parlavano di ciò che succedeva su quei social, delle nuove tendenze e challenge… io, beh, non potevo! Quando finalmente, all’età di 16 anni mi fu permesso di entrare nel mondo di Instagram, venni completamente e immediatamente risucchiata dalla piattaforma. Fino a quel momento non ero nessuno, forse un puntino insignificante ed ero attanagliata dalla paura di restare anonima, così mi misi all’opera, un’opera che sarebbe diventata spaventosa. Condividevo con quei pochi followers tutto ciò che secondo una sedicenne poteva risultare interessante. Ero talmente presa dal costruirmi questo mondo ideale, che non mi accorgevo del male che mi stavo facendo, passavo troppo tempo su quel cellulare, i miei voti di erano abbassati moltissimo e mangiavo poco. Ero stata risucchiata in quel vortice pericoloso grazie al quale ero riuscita a non essere una sconosciuta per gli altri; ma quella non ero io. Come succede spesso, sui social mostriamo solo ciò che ci fa comodo, ciò che gli altri utenti si aspettano di vedere, non chi siamo veramente. Io, oltre ad essermi creata quasi un’altra identità per piacere agli altri e non restare isolata, mi stavo avvelenando e lo stavo facendo da sola, con le mie stesse mani. Per fortuna intervennero i miei genitori, grazie a loro riuscii a uscire da quella spirale di disperazione che mi aveva portato alla condizione di vivere solo grazie all’attenzione altrui. Dovetti abituarmi all’idea che sarei sopravvissuta anche essendo una sconosciuta, una persona anonima e posso assicurare che non fu facile. Ci volle del tempo per disintossicarmi da tutto quel male che avevo creato. Adesso vivo la mia vita serenamente, ovviamente a volte cerco sempre di essere notata per qualcosa, i miei 16 anni hanno lasciato un segno indelebile, una cicatrice dolorosa accompagnata da vergogna. Tutti, durante il corso della nostra vita, cerchiamo di lasciare il segno, qualcosa che resti, che faccia la differenza o che semplicemente, in un futuro, venga ricordata e così associata a noi. Questo perché abbiamo paura di essere dimenticati o, addirittura, di non essere mai esistiti. In un cartone Disney molto famoso, “Coco” viene mostrata una scena in cui un personaggio nel mondo dei morti viene dimenticato completamente dalle persone che lo avevano conosciuto quando era in vita e per questo motivo piano piano egli si dissolve. Essere anonimi porta anche a questo: a non essere ricordati. Ci si dimentica della persona e alla fine diventa uno sconosciuto, un anonimo. Forse dovremmo smetterla di caricarci di questo peso, dovremmo capire che non è indispensabile essere conosciuti. La libertà che si prova ad essere sconosciuti è immensa, in fondo , se ci si pensa, siamo semplicemente un puntino su 8 miliardi di puntini sulla Terra, e il nostro pianeta a sua volta è un puntino nell’immenso universo. Non dobbiamo aver paura di essere degli sconosciuti, nonostante la società ci faccia credere il contrario. Come ho già detto, essere anonimi oggi risulta difficile, e ciò non è un male. Il male lo creiamo noi nel momento in cui l’anonimato diventa una malattia. Impariamo a volerci bene e a goderci anche quei momenti in cui siamo soli, isolati. Solo così troveremo la pace dei sensi.
Ringraziamo Alessia Bodini, studentessa della 5A a.s. 2024/25 per il suo contributo



