Le Leggi Razziali in Italia: la vita sconvolta di Liliana Segre e la tragedia degli Ebrei

Nel brano che segue si narra l’effetto che le leggi razziali hanno avuto nella vita delle famiglie еbree.

A raccontarci cosa successe negli anni 1938-’39 é proprio la senatrice Liliana Segre, proveniente da una famiglia ebrea e che all’epoca aveva otto anni.

Liliana aveva una vita normale, frequentava molto volentieri la scuola, amava stare in compagnia e parlare con le persone; tutto d’un tratto si ritrovò espulsa dalla scuola che frequentava.

Un bambino era a conoscenza del fatto che l’espulsione dalla scuola avveniva quando si commetteva qualcosa di grave e quando si infrangevano le regole ma, la Segre, che si riteneva una studentessa mediocre, non aveva fatto nulla per essere mandata via, definendo la sua espulsione una cosa assurda e di una gravità enorme perché le era stato tolto il diritto di poter frequentare la scuola statale come gli altri bambini.

È proprio dopo questa espulsione che Liliana comincia a porsi delle domande, a voler capire la ragione per cui lei, ingiustamente, venne esclusa dalla scuola e allontanata dai suoi compagni.

Non riuscendo a trovare una spiegazione, cercava conforto nei suoi genitori, nel cosiddetto “mondo degli adulti”, ma anche loro, a malincuore, evitavano l’argomento, suscitando nella piccola Liliana diversi sensi di colpa e facendola sentire “sbagliata”.

Da qui il titolo “La sola colpa di essere nati” perché la Segre ormai associava tutto quello che successe alla sua famiglia e a tutti gli ebrei al fatto di essere nati ebrei.

Nel testo viene fatto un paragone con il gioco  del “bambino invisibile”, definito terribile dalla stessa Liliana, dove si decide che uno tra i bambini (solitamente il più piccolo) diventa invisibile agli occhi degli altri e per quanto lui pianga disperatamente in cerca di attenzione, tutto il gruppo finge di non vederlo.

Questo è quanto accadeva agli ebrei: vennero esclusi dalla vita sociale e dalla quotidianità, i bambini ebrei vennero espulsi dalle scuole e addirittura anche amici e conoscenti voltarono loro le spalle; da un momento all’altro si ritrovarono esclusi da tutto quello che li circondava e si sentivano proprio come il bambino invisibile perché non avevano alcuna colpa, non l’avevano deciso loro, erano semplicemente stati presi di mira proprio come quando nel gioco, il gruppo sceglieva il bambino che sarebbe diventato la vittima.

Le leggi razziali fasciste furono una serie di provvedimenti legislativi e amministrativi entrati in vigore in Italia tra  il 1938 e il 1945, che portarono alla discriminazione e alla persecuzione degli ebrei e contemplavano la loro esclusione dalle scuole pubbliche, come successe a Liliana Segre, un avvenimento questo, che la segnó profondamente.

Da un momento all’altro gli ebrei si ritrovarono davanti ad una realtà molto cruda e vennero pesantemente discriminati ed esclusi dalla vita sociale ed economica del paese.

Le conseguenze sono state molteplici: non potevano sposarsi con italiani, non potevano possedere aziende, attività commerciali e beni immobili, non potevano prestare servizio nelle forze armate ed erano fortemente limitati nell’esercizio di lavori e professioni. Alla discriminazione e all’esclusione dalla vita civile segui la loro deportazione nei campi di concentramento dove fu commesso un genocidio di circa 6 milioni di persone. I nazisti vedevano gli ebrei come una delle principali minacce per la razza ariana e la nazione tedesca, per questo la “soluzione finale” fu lo sterminio di tutti coloro che non appartenevano alla razza dominante, in particolare gli ebrei. In fin dei conti loro non avevano nessuna colpa di quello che accade loro, vennero presi di mira, privati della vita e uccisi in modo disumano, senza alcuna pietà. La cosa che mi fa più dispiacere é il fatto che ad oggi dovremmo aver imparato qualcosa dalla storia ma purtroppo non è così…  ancora oggi, a malincuore, assistiamo ad episodi razzisti e discriminatori.

Giorno dopo giorno dovremmo contribuire nel nostro piccolo a creare un mondo migliore ed evitare che orribili fatti successi in passato possano ripetersi.

                                                                                                                      Michelle Kullaj 5G

«Quando, per effetto delle leggi razziali, fui espulsa dalla scuola statale di via Ruffini, i miei pensarono di iscrivermi a una scuola ebraica non sapendo più da che parte voltarsi. Alla fine decisero di mandarmi a una scuola cattolica, quella delle Marcelline di piazza Tommaseo, dove mi sono trovata molto bene, perché le suore erano premurose e accudenti. Una volta sfollati a Inverigo, invece, studiavo con una signora che veniva a darmi lezioni a casa. L’espulsione la trovai innanzitutto una cosa assurda, oltre che di una gravità enorme! Immaginate un bambino che non ha fatto niente, uno studente qualunque, mediocre come me, nel senso che non ero né brava né incapace; ero semplicemente una bambina che andava a scuola molto volentieri perché mi piaceva stare in compagnia, proprio come mi piace adesso. E da un giorno all’altro ti dicono: «Sei stata espulsa!». È qualcosa che ti resta dentro per sempre. «Perché?» domandavo, e nessuno mi sapeva dare una risposta. Ai miei «Perché?» la famiglia scoppiava a piangere, chi si soffiava il naso, chi faceva finta di dover uscire dalla stanza. Insomma, non si affrontava l’argomento, lo si evitava. E io mi caricavo di sensi di colpa e di domande: «Ma cosa avrò fatto di male per non poter più andare a scuola? Qual è la mia colpa?». Non me ne capacitavo, non riuscivo a trovare una spiegazione, per quanto illogica, all’esclusione. Sta di fatto che a un tratto mi sono ritrovata in un mondo in cui non potevo andare a scuola, e in cui contemporaneamente succedeva che i poliziotti cominciassero a presentarsi e a entrare in casa mia con un atteggiamento per nulla gentile. E anche per questo non riuscivo a trovare una ragione. Insieme all’espulsione da scuola, ricordo l’improvviso silenzio del telefono. Anche quello è da considerare molto grave. Io avevo una passione per il telefono, passione che non ho mai perduto. Non appena squillava correvo nel lungo corridoio dalla mia camera di allora per andare a rispondere. A un tratto ha smesso di suonare. E quando lo faceva, se non erano le rare voci di parenti o amici con cui conservavamo una certa intimità, ho addirittura incominciato a sentire che dall’altro capo del filo mi venivano indirizzate minacce: «Muori!», «Perché non muori?», «Vattene!» mi dicevano. Erano telefonate anonime, naturalmente. Dopo tre o quattro volte, ho riferito la cosa a mio papà: «Al telefono qualcuno mi ha detto “Muori!”». Da allora mi venne proibito di rispondere. Quelli che ci rimasero vicini furono davvero pochissimi. Da allora riservo sempre grande considerazione agli amici veri, a quelli che in disgrazia non ti abbandonano. Perché i veri amici sono quelli che ti restano accanto nelle difficoltà, non gli altri che magari ti hanno riempito di regali e di lodi, ma che in effetti hanno approfittato della tua ospitalità. C’erano quelli che prima delle leggi razziali mi dicevano: «Più bella di te non c’è nessuno!». Poi, dopo la guerra, li rincontravo e mi dicevano: «Ma dove sei finita? Che fine hai fatto? Perché non ti sei fatta più sentire?». Se uno è sulla cresta dell’onda, di amici ne ha quanti ne vuole. Quando invece le cose vanno male le persone non ti guardano più. Perché certo, fa male alzare la cornetta del telefono e sentirsi dire «Muori!» da un anonimo. Ma quanto è doloroso scoprire a mano a mano tutti quelli che, anche senza nascondersi, non ti vedono più. È proprio come in quel terribile gioco tra bambini, in cui si decide, senza dirglielo, che uno di loro è invisibile. L’ho sempre trovato uno dei giochi più crudeli. Di solito lo si fa con il bambino più piccolo: il gruppo decide che non lo vede più, e lui inizia a piangere gridando: «Ma io sono qui!». Ecco, è quello che è successo a noi, ciascuno di noi era il bambino invisibile.»

Testo tratto da G. Colombo, L. Segre, La sola colpa di essere nati, Milano, Garzanti, 2021, pp. 25-27

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